Al Vinitaly di Verona l’Italia del vino ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per continuare ad eccellere nel mondo. L’intera filiera enologica ha creato più di un milione di posti di lavoro; crescono gli operatori stranieri e le presenze alla kermesse; i vitigni autoctoni sono sempre più apprezzati ma sotto l’aspetto legislativo bisogna accelerare nel rendere operativo il ‘Testo Unico del Vino’
Conclusa da pochi giorni la 51ma edizione di Vinitaly nella sua storica location dei padiglioni di Verona Fiere, è possibile tirare le somme di una manifestazione che, grazie anche alla contemporaneità con il Salone Internazionale Sol&Agrifood (dedicato al meglio delle produzioni agroalimentari) e con Enolitech (dedicato alle tecnologie e ai mezzi tecnici per le filiere del vino e dell’olio), di anno in anno sta attirando sempre più l’interesse di buyer, vignaioli, enologi, wine lover e giornalisti nazionali e soprattutto internazionali, tutti accomunati dalla passione e dal business che il mondo del vino, dell’agroalimentare e delle tecnologie dedicate comporta ed include ormai a livello globale.
Lo dimostrano i numeri che hanno caratterizzato i quattro giorni della kermesse, considerando anzitutto le 30 nazioni partecipanti con 4.120 espositori di cui 128 stranieri, i 130mila ingressi registrati da 142 Paesi di cui 50mila stranieri, 2.110 giornalisti accreditati di cui 228 dall’estero, le oltre 250 degustazioni e i 400 incontri tra aziende e pubblico nei vari seminari, convegni, degustazioni guidate, prestigiose verticali, educational e presentazioni di guide e libri del miglior Made in Italy. A tal proposito segnalo il bellissimo libro fotografico realizzato da Andrea Zanfi ‘Basilicata in vigna’ (‘ZE Editoria Diffusa’ 2017), interamente dedicato alla regione lucana, alle sue migliori aziende vinicole e ai suoi paesaggi e borghi unici. L’opera è stata presentata alla stampa lunedì 10 aprile nello stand della Regione Basilicata (presenti, tra gli altri, l’autore, il presidente Ais Basilicata Aldo Corrado e l’assessore regionale alle Politiche Agricole Luca Braia) e il successivo buffet, a base di prelibatezze regionali, è stato curato dal lucano doc Rocco Pozzulo in persona, presidente della Federazione Italiana Cuochi (FIC).
A dir poco strategica si è rivelata la scelta, anche quest’anno, di creare un ‘Fuori-salone’ dedicato in particolar modo agli oltre 35mila amanti del vino (che solitamente vivono Vinitaly come un’occasione di svago insieme ad amici o come prima esperienza di approccio al nettare di Bacco) per i quali, dal 7 all’11 aprile, è stata organizzata la manifestazione ‘Vinitaly & the City’ nel centro di Verona (Piazza dei Signori, Cortile del Mercato Vecchio, Torre dei Lamberti e l’Arsenale di Verona le principali location) ma che ha coinvolto anche la cittadina di Bardolino. Oltre al binomio ‘Wine and Food’, il tutto è andato di pari passo con performance musicali e svariati eventi, un’ottima opportunità anche per conoscere e visitare le bellezze architettoniche della città scaligera e scoprire le specialità territoriali nei ristoranti più noti (su tutti, i locali del famoso Chef Giancarlo Perbellini, 2 stelle Michelin e proprietario in città di ben 6 locali: il ristorante gourmet ‘Casa Perbellini’, quello di pesce ‘Al Capitan della Cittadella’, la pizzeria ‘Du de cope’, la ‘Locanda ai 4 cuochi’, l’enoteca ‘Zero7’ e, per non farsi mancare nulla, la pasticceria ‘Dolce locanda’).
Per quanto riguarda i buyer, da segnalare la prima partecipazione a Vinitaly di rappresentanti del Senegal e di Panama, la massiccia presenza di buyer russi (+42%) e brasiliani (+29%) che hanno confermato un costante aumento degli operatori esteri, in particolar modo rispetto all’edizione dello scorso anno: Stati Uniti, Olanda e Belgio con un +6%, Regno Unito con un +4%, Germania con un +3%, Paesi del Nord Europa con un +2%. Anche la Cina ha fatto registrare dei segnali positivi (+12%) che fanno ben sperare sul futuro del vino italiano per i prossimi anni, considerando che nel mercato cinese il gap con i vini francesi, australiani e cileni è ancora ben evidente, ma la presenza a Verona di Robert Yang, fondatore di ‘1919’ (importante società colosso nelle vendite di Wine & Spirit ‘Online to Offline’ – ‘O2O’ – in Cina) è un ottimo segnale di collaborazione con ‘Vinitaly International Academy’, con la quale mister Yang ha nei fatti stipulato un accordo commerciale che prevede l’aumento di vendita di vino italiano in Cina di oltre 2 milioni di bottiglie in più entro il 2020, un quantitativo equivalente ad un fatturato di 68 milioni di euro.
L’accordo segue la recente partecipazione dei membri di rappresentanza di ‘Vinitaly International’, guidata dal Direttore Generale Stevie Kim, al ‘China Food and Drinks Fair for Wine and Spirits’ nella città di Chengdu, location di uno degli eventi più importanti del settore ‘Food and Beverage’ in terra cinese. La piattaforma ‘O2O’ si occupa della consegna del vino acquistato online, con un tempo prefissato di 19 minuti, oltre i quali è riconosciuto al cliente uno sconto per ogni minuto di ritardo; le consegne coinvolgono più di 5mila esercizi commerciali localizzati in 500 città cinesi, trattando prodotti di ben 1.500 marchi. Presenti a Vinitaly anche rappresentanti di altre grandi società commerciali cinesi come Suning, Cofco e Winehoo.
Restando in tema di ‘Vinitaly International’ c’è da segnalare l’importante ingresso di Stevie Kim, insieme a Marilisa Allegrini (la signora dell’Amarone) nell’advisory board europeo del network americano ‘Women of the Wine & Spirits’ che associa tutte le donne impegnate nel settore, alla stregua dell’Associazione italiana ‘Le Donne del Vino’ creata da Donatella Cinelli Colombini. Il network è stato pensato negli Stati Uniti da Deborah Brenner (autrice del bestseller ‘Women of the Vine: Inside the World of the Women Who Make, Taste and Enjoy Wine’) per promuovere e accrescere la presenza femminile nel mondo del vino che è ancora in prevalenza appannaggio di soggetti maschili.
Quanto poi all’E-Commerce, esso è diventato fondamentale come canale distributivo all’estero e già dallo scorso anno grosse aziende come il GIV (Gruppo Italiano Vini, gigante cooperativo proprietario di 15 cantine in 11 regioni, guidato alla grande da Roberta Corrà e operante in Cina dal 2012 con una sua società di trading) e Mezzacorona (la cantina trentina costituita nel 1904) hanno investito in un ‘flagship store’ monomarca su TMall, il centro commerciale virtuale di un altro colosso cinese dell’E-Commerce qual è Alibaba con i suoi 400 milioni di utenti quotidiani.
Sicuramente la strada intrapresa è quella giusta, considerando che oggi il termine ‘Vinitaly’ in Cina è il secondo brand più conosciuto dopo quello di ‘Antinori’ ma per conquistare quanti più consumatori possibili (e soprattutto quelli giusti) bisogna presentare loro dei prodotti di nicchia e non generici, dei vini cioè che si prestano ad essere raccontati secondo un proprio storytelling e i giusti abbinamenti a piatti ma anche ad occasioni particolari, facendo sì che il wine lover cinese possa essere educato alla qualità del vero Made in Italy anche attraverso iniziative promozionali ‘offline’.
Altra grande novità di questa edizione di Vinitaly è stata la partecipazione della Federazione Russa, rappresentata dal Segretario di Stato e viceministro dell’Agricoltura Sergey Levin, con 18 cantine vinicole che hanno proposto in degustazione oltre 50 vini provenienti dalle 5 regioni più vocate alla viticoltura (Crimea, Dagestan, Krasnodar, Rostov e Stavropol) grazie alla loro particolare posizione geografica lungo il 45mo parallelo che attraversa, tra le altre aree europee, anche il Veneto e il Piemonte in Italia e i territori del Rodano in Francia. Non a caso, tale parallelo è conosciuto come ‘l’asse d’oro’ che, da Nord a Sud, separa le suddette regioni differenziandole anche per caratteristiche climatiche che influenzano i diversi terreni e di conseguenza le qualità organolettiche dei vini prodotti dai vigneti coltivati. Si ottengono infatti dei vini rossi con maggiore acidità e presenza di tannini nella parte settentrionale dell’ ‘asse d’oro’ (regione di Rostov, molto fredda), dei rossi più fruttati in quella meridionale (regione del Dagestan), mentre nelle altre tre regioni localizzate a ridosso del 45mo parallelo e da questo attraversate quasi centralmente (Crimea, Krasnodar e Stavropol), vengono prodotti vini ottenuti da vitigni internazionali, sia rossi che bianchi.
Gli ettari totali coltivati sono 90mila ed è interessante constatare che, secondo le ricerche effettuate da alcuni enti internazionali di settore, i vitigni autoctoni di queste regioni sono originari esclusivamente del Sud della Russia, non avendo nessun richiamo con quelli tipicamente presenti e coltivati in Europa. Tra i 30 vitigni autoctoni russi più importanti si distinguono Kokur e Rkatsiteli a bacca bianca, mentre tra quelli a bacca rossa Kefessiya Sibirkovy, Krasnostop, Plechistik, Saperavi e Tsimlyanskiy Chorny. Un dato molto importante e significativo dell’importanza e del sostegno alla viticoltura da parte del governo russo è da riscontrarsi nella diminuzione del consumo di superalcolici fino al 50% in meno, grazie anche al grande lavoro svolto all’estero da enologi russi rientrati poi in patria per applicare nozioni e tecniche apprese (anche nuove e particolari) ai vitigni locali, nonché ad enologi di fama mondiale che hanno saputo scoprire e valorizzare gli stessi.
Lo scorso anno la produzione di vino russo si è attestata sulle 550mila tonnellate di uve che hanno reso ben 370 milioni di litri di vino e il governo si è posto l’obiettivo di coltivare fino a 140mila ettari di vigneti entro il 2020 e fino a 180mila entro il 2025. Se pensiamo all’attuale blocco commerciale vigente nei confronti della Federazione Russa, lo si può ritenere un progetto intelligente ma che dovrà comunque misurarsi con quelli che saranno gli sviluppi dell’export russo nei prossimi anni.
Tornando all’Italia e al suo prezioso patrimonio vinicolo, arrivano buone notizie da alcune analisi sul comparto vino realizzate da Coldiretti, la più importante delle quali è che nel 2016 ha dato lavoro a 1 milione e 300mila persone, suddivise in vari ambiti di competenza: dalla raccolta nei vigneti alla produzione nelle cantine, dall’imbottigliamento al trasporto, dall’enoturismo alle assicurazioni di personale e mezzi, dalla distribuzione all’editoria, dalla ricerca alla formazione, dagli eventi ristorativi alle bioenergie.
Un comparto che è indubbiamente un volano fondamentale per quanto riguarda l’aspetto occupazionale sia al Nord ma soprattutto al Centro-Sud dove, tenendo come riferimento il totale delle ore lavorative d’impiego annuale, le prime tre province sono state quella di Chieti (con la denominazione Montepulciano d’Abruzzo Doc che ha fatto totalizzare ben 19,5 milioni di ore impiegate), seconda quella di Foggia (con 16,5 milioni di ore impiegate grazie alla denominazione Puglia Igt che, inoltre, vanta anche un certo cumulo di ore nella provincia di Bari) e terza quella di Trapani (con 16 milioni di ore impiegate grazie alla denominazione Doc Sicilia). Seguono l’Oltrepò Pavese Doc (14,2 milioni di ore), l’Asti Docg e la Barbera d’Asti (13,4 milioni), l’Amarone della Valpolicella Docg insieme al Soave Docg nella provincia di Verona (13,1 milioni), il Prosecco Docg nella provincia di Treviso (12,9 milioni), Barolo Docg, Barbaresco Docg, Langhe Doc e Roero Docg in provincia di Cuneo (12,4 milioni), Gavi Docg in provincia di Alessandria (10,9 milioni) e il Castel del Monte Doc in provincia di Bari (9,4 milioni).
Secondo un’indagine promossa da Coldiretti, gli italiani hanno cambiato le loro abitudini riguardo l’acquisto dei vini, preferendo di gran lunga quelli autoctoni a km zero che hanno un forte feeling con il territorio presso il quale vengono coltivati e prodotti, in particolar modo da vignaioli medio piccoli che hanno optato per una produzione completamente biologica e biodinamica, all’insegna del rispetto della natura prima e del consumatore finale poi. I primi tre vitigni che guidano la classifica dei maggior acquisti nella Grande Distribuzione Organizzata (GDO) sono il Lambrusco Doc emiliano (13,1 milioni di litri), il Chianti Docg toscano (10 milioni di litri) e il Montepulciano d’Abruzzo Doc (8,5 milioni di litri), seguiti dal Nero d’Avola siciliano, dal Vermentino sardo, dal lombardo Gutturnio e dal Muller Thurgau che viene coltivato principalmente in Trentino e in Friuli. Una seconda novità nella GDO è l’impennata della percentuale a volume dei vini biologici, la cui vendita a scaffale di 2,5 milioni di litri ha fatto registrare un +25,7%. Nello specifico, analizzando le varie denominazioni regione per regione, il primo posto per incremento di vendita a volume spetta al Ribolla Gialla del Friuli, seguita dalla Passerina delle Marche, dal Valpolicella Ripasso del Veneto, dal Pignoletto dell’Emilia Romagna, dal Pecorino marchigiano e abruzzese, dal Grillo della Sicilia e dal Cannonau della Sardegna.
Il Ribolla Gialla friulano, la Passerina e il Valpolicella Ripasso svettano ai primi tre posti anche nella speciale classifica della migliore performance di vendite nell’arco dell’intero 2016, rispettivamente con un +31%, un +24% e un +23%. A seguire, il Pecorino marchigiano e abruzzese (+19%), il Primitivo (+14%), il Pignoletto (+13%), il Custoza (+10,5), il Negroamaro, il Lagrein e il Traminer con un +10% ciascuno. A tal proposito Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, ha affermato che “il futuro dell’agricoltura italiana ed europea dipende dalla capacità di promuovere e tutelare le distintività territoriali che sono state la chiave del successo nel settore del vino, dove hanno trovato la massima esaltazione”. Quanto al discorso della recente abolizione dei voucher da parte del governo, non nasconde la sua perplessità circa gli effetti sulla vendemmia 2017, affermando che “quest’anno saranno a rischio 25mila posti di lavoro stagionale in un settore che, più di altri, dimostra come l’agricoltura è in grado di offrire opportunità di lavoro anche a chi vuole integrare il proprio reddito, come i giovani ma anche i pensionati che si ritrovano con una misera pensione. Pertanto occorre trovare al più presto una valida soluzione alternativa nell’interesse delle imprese e dei cittadini”.
Durante Vinitaly è stata presentata anche un’indagine realizzata da Nomisma-Wine Monitor per l’Istituto marchigiano di Tutela Vini (ImT) che ha intervistato 220 professionisti (tra sommelier, cuochi e titolari di ristoranti) sulla presenza dei vini bianchi autoctoni nella ristorazione italiana e dalla quale è emerso che le loro etichette costituiscono il 50% di quelle presentate in carta. Praticamente un vino autoctono viene scelto nel 67% dei casi prima di un’etichetta blasonata (scelta nel 38% dei casi), una a denominazione (32%) e uno biologico (29%). In un ristorante di fascia media con una carta di 126 vini bianchi, sono 64 le etichette di autoctoni presenti, mentre in uno di alta fascia la media arriva a 106 autoctoni ed è il Traminer il vino maggiormente proposto per l’84%, seguito dal Moscato (78%), dal Tocai Friulano (74%), dal Vermentino (73%) e dal Fiano (69%).
Tra i vitigni autoctoni che invece hanno ancora un margine di aumento nelle preferenze in carta, avendone i presupposti qualitativi, spiccano Glera, Garganega, Catarratto e Trebbiano, mentre Pecorino, Passerina e Pignoletto iniziano ad essere particolarmente conosciuti ed apprezzati come new entry, arricchendo la carta insieme a quei vitigni che nella stessa non mancano mai: Falanghina, Fiano, Friulano, Traminer, Vermentino e Verdicchio. Stilando invece una classifica in base alle regioni più rappresentate, il Friuli Venezia Giulia occupa decisamente il primo posto con il 40%, l’Alto Adige al secondo con il 15%, la Sicilia al terzo con il 9% e le Marche al quarto con il 7%; a seguire, Abruzzo, Trentino, Veneto, Campania, Piemonte e Valle d’Aosta.
Vinitaly è stata anche l’occasione giusta per un incontro delle maggiori associazioni italiane operanti nel mondo del vino (Assoenologi, Alleanza delle Cooperative, Confagricoltura, Federdoc, Federvini e Unione Italiana Vini) che si sono confrontate sul dibattito dal tema ‘Strategia di filiera: insieme per la competitività. Le sfide del vino italiano verso il 2020’. Quattro le principali richieste formulate al governo, ossia procedere il prima possibile ad una condivisione dei decreti di attuazione del Testo Unico del Vino (‘TUV’, un pacchetto di 92 articoli suddivisi in 8 capitoli – Legge 12/12/2016 n. 238 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 28/12/2016 ed entrata in vigore il 12/01/2017 – riguardanti la ‘Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino’), ad una lunga programmazione degli investimenti, allo sblocco dei fondi di promozione 2017/2018 nei Paesi Terzi e la maggior valorizzazione della figura dell’enologo.
Grande assente al dibattito il rappresentante del governo Maurizio Martina, ministro alle Politiche Agricole, che si è limitato a comunicare l’ufficialità della proroga dal 30 aprile al 30 giugno della data utile per adeguarsi e passare al registro telematico, concedendo due mesi in più affinchè si possano risolvere alcune problematiche inerenti alla procedura ancora esistenti. Il prossimo incontro con gli stessi protagonisti si terrà a Roma il 26 aprile prossimo, mentre Vinitaly ha dato appuntamento a tutti dal 15 al 18 aprile 2018.