A volte un tema ci risulta difficile da comprendere solo per volere di chi ce lo racconta.
Emblematico è il caso del vino che, da semplice bevanda qual è, finisce molto spesso per diventare un astratto artefatto della sua essenza. La caratteristica preliminare per raccontarlo, oltre alla ovvia conoscenza della materia prima, è l’approccio che, agli occhi di chi quell’etichetta non la conosce, deve trasmettere sicurezza e al contempo tranquillità.
Michael Douglas Ojeda Moran, il sommelier dell’insegna pavese Ottocentodieci Ristorante – la cui cucina è guidata dallo chef Rigels Tepshi – sa interpretare entrambi i ‘ruoli’: professionale sullo sfondo ed empatico nel colloquio con il cliente. Il vino è la sua più grande passione, che ha approfondito negli anni e che adesso condivide con la sua anima gemella.
Chi è Michael Douglas Ojeda Moran?
Sono nato nel 1990 a Naranjito, in Ecuador, e dall’età di 11 anni vivo in Italia, ad Arona, una località vicino al Lago Maggiore. Fin da piccolo ho sempre avuto il desiderio di lavorare nel settore della ristorazione ed è per questo che ho deciso di frequentare l’Istituto Alberghiero di Stresa. Durante la mia prima esperienza, uno stage scolastico al ristorante dell’Hotel San Rocco al Lago d’Orta, ho avuto la fortuna di conoscere lo chef Ilario Vinciguerra e di iniziare la mia esperienza nei ristoranti gastronomici. Dopo aver ricoperto l’incarico di direttore di sala in un ristorante di cucina fusion a Torino, sono riuscito ad approfondire il mondo del vino, grazie al maître Stefano Campaniello del ristorante 1 Stella Michelin, Al Castello di Grinzane Cavour, in provincia di Cuneo. Qui la cucina faceva capo allo chef Alessandro Boglione e la quotidianità del servizio in sala come chef de rang, le visite in cantina e le degustazioni insieme al maître mi hanno permesso di apprendere molto nei due anni passati insieme. L’incontro con Alessandro Mecca, ai tempi chef del ristorante L’Estate di Villa San Martino, mi ha aperto le strade, in vista dell’apertura di Spazio7, della gestione degli eventi e della carta vini. Sono poi volato a Lecce, dai Bros’ – su chiamata dello chef Floriano Pellegrino – per un’esperienza molto formativa come sommelier, al quale sono seguiti il mio ritorno in Piemonte e l’inizio da Ottocentodieci, dove tuttora ricopro il ruolo di sommelier.
Il suo primo vino.
Il mio primo vino è stato uno champagne, all’Hotel San Rocco al Lago d’Orta. Ricordo con piacere che quel sorso non solo aveva suscitato in me un’emozione piacevole ma mi aveva anche acceso una particolare curiosità: in quel momento ho capito che avrei voluto scoprire tutte le sfaccettature di quel mondo meraviglioso che è il vino.
Quando e perché ha scelto di diventare sommelier?
Se la passione è scaturita durante l’esperienza a Grinzane Cavour, al ristorante Al Castello, è da Spazio7, * Stella Michelin, che ho deciso di diventare sommelier. La maggiore responsabilità in sala, anche per ciò che concerne la carta vini, mi ha portato a prendere questa scelta.
Chi è il suo punto di riferimento oggi?
La persona che devo ringraziare maggiormente, che mi ha insegnato più di tutte nella mia carriera e che tuttora è il mio attuale punto di riferimento, è Stefano Campaniello. Mi ha trasmesso la passione e mi ha permesso di crescere, anche per ciò che concerne l’aspetto tecnico.
Ha un’anima gemella? Anche lei è appassionata di vino?
Sì. Ho una ragazza, Elena, che in passato ha seguito l’Alma, diventando cuoca. Nonostante non faccia più questo mestiere, continua a coltivare insieme a me la passione per la cucina e il buon vino.
Se l’amore fosse per lei un’etichetta, quale sarebbe?
Il Barbaresco di Pelissero. È il vino che rappresenta di più il legame fra di noi, perché “bagnò” la nostra seconda cena fuori, al ristorante Tre Galli di Torino.
Se ha due ore di tempo libero come le trascorre?
Nel tempo libero non perdo mai occasione per documentarmi sul vino. Leggo dei libri – adesso ho riiniziato Guida ai vitigni d’Italia di Slow Food Editore – o guardo dei video, che abbiano sempre a che fare con la viticoltura. Credo che in questo settore la formazione sia tutto e, per essere sempre aggiornati, occorre avere la costante attitudine ad apprendere concetti nuovi.
Il suo piatto preferito?
I tajarin, che preparo insieme alla mia ragazza, e che condiamo con il ragù bianco di coniglio della sua bisnonna. Sono un amante della pasta.
Cosa gli abbinerebbe e perché?
Due vini in particolare: il Grignolino e il Nebbiolo. Grazie alla caratteristica tannicità, entrambi riescono a spezzare la grassezza del ragù e a richiamarne la speziatura.
Il suo film indimenticabile?
La vita è bella di Roberto Benigni. Non l’avevo visto fino a un paio d’anni fa e quando ne ho avuto l’occasione sono rimasto piacevolmente sorpreso. È stato un film che mi ha fatto emozionare e piangere tanto.
Tendenze nel mondo del vino per il futuro?
Il futuro del vino seguirà i trend del biologico e delle etichette monovitigno. Verranno accantonati i blend per dare spazio a vini che possano raccontare il terreno e la mano di chi li produce.
In quale ambito del vino vorrebbe specializzarsi?
Qualche anno fa avrei probabilmente risposto rosso ma, recentemente, sto apprezzando molto anche le bollicine. Se dovessi indicare una categoria, più di altre, sarebbe proprio questa. Dallo Champagne al Franciacorta, passando per gli altri grandi metodi classici italiani: credo che questi vini abbiano finalmente ottenuto la giusta importanza, grazie al fatto che il loro utilizzo è stato sdoganato a tutto pasto.
Il suo vino preferito?
Il Prometheus di Bajaj. Si tratta di un Arneis che viene fatto invecchiare in anfora per un periodo di 9 mesi. Lo amo particolarmente per la sua persistenza in bocca, che risulta molto piacevole.
Foto di : Alberto Blasetti