Dibattito sulle grandi potenzialità di sviluppo e valorizzazione di un territorio conosciuto nel mondo per i suoi due eccellenti vini: il Rosso e il Brunello di Montalcino
Durante l’ultimo ‘Premio Leccio d’Oro’, svoltosi nella bellissima cornice del Teatro degli Astrusi di Montalcino, è stato affrontato un interessante dibattito dal titolo “Che Brunello sarà. Il territorio di Montalcino nel futuro”, con un focus su quelle che possono essere le potenzialità di sviluppo e valorizzazione dell’intero territorio della Val d’Orcia, famoso in tutto il mondo per essere direttamente legato ai suoi due eccellenti vini: il Rosso e il Brunello di Montalcino.
Il dibattito è stato condotto e moderato da Luciano Ferraro (Caporedattore del Corriere della Sera), ed hanno partecipato Patrizio Cencioni (Presidente del Consorzio del Brunello), Marco Do (Direttore Responsabile della Comunicazione Michelin Italia), Monica Larner (famosa giornalista, sommelier e revisore enologico in Italia per conto di ‘Wine Advocate’, il gruppo editoriale del massimo critico dell’enologia mondiale Robert Parker), Gioacchino Bonsignore (famoso giornalista enogastronomico e curatore del noto programma televisivo ‘Gusto’ del TG5) e Charlie Arturaola (sommelier e critico enogastronomico, ‘soldato del vino’ come si autodefinisce, attore nel film “‘The Duel of Wine’ sul vino Brunello e sul paese di Montalcino).
Patrizio Cencioni si è ritenuto molto soddisfatto della doppia annata a 5 stelle del Brunello 2015 e 2016 (stesso storico risultato delle annate 2006 e 2007), elogiando tutti i produttori ma precisando che grandi risultati come quelli raggiunti nelle due ultime annate e, ancor prima, nelle annate 2010 e 2012, devono essere un punto di slancio verso un futuro prossimo in cui si dovrà continuare a lavorare in perfetta sinergia, puntando sulla qualità e migliorandosi sempre più. Nello specifico, il 2016 è stato caratterizzato da una primavera piovosa e da un autunno molto caldo di giorno e fresco di notte, determinando un’escursione termica che ha arricchito gli acini di colore, profumi e acidità.
Secondo Monica Larner, “Il futuro del Brunello di Montalcino, che ha una storia relativamente giovane, passa dalla zonazione che deve essere fatta, per non rimanere indietro rispetto ad altri grandi territori d’Italia e del mondo, dall’educazione alle diversità tra zona e zona che però il mondo degli appassionati vuole conoscere, e dal sempre maggiore investimento su “single vineyards” e “cru”, che è solo agli inizi”. Un Brunello di Montalcino che vola nel mondo “ha segnato un passaggio importante, anche dal punto di vista simbolico, iniziando di fatto un nuovo capitolo dopo qualche anno difficile e dopo la scomparsa di un personaggio come Franco Biondi Santi (per anni alla guida della cantina dove è nato il Brunello di Montalcino nell’Ottocento, la Tenuta Greppo), un percorso che è ad un nuovo inizio, con una qualità ormai conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, e anche tanti produttori giovani”.
“Ma di certo il Brunello di Montalcino non è un vino semplice, va spiegato, va raccontato agli appassionati il perchè di queste grandi e uniche acidità, di queste caratteristiche peculiari che qui esprime il Sangiovese, e anche per questo si deve arrivare davvero ad una zonazione. Anche perchè poi, quello che conta di più almeno per il nostro approccio a “The Wine Advocate”, è raccontare e valutare quello che si esprime nel calice”.
“È proprio così, il futuro sta nello scoprire e nel raccontare le diversità del territorio di Montalcino – ha aggiunto Charlie Arturaola – le diversità sono tante, a seconda dei diversi versanti di Montalcino e non solo, e gli appassionati, soprattutto in America, le voglio conoscere, ed è bello che ci siano sempre più voci, anche giovani, che lo raccontano”.
Gioacchino Bonsignore ha ben descritto la scarsa attenzione della televisione al mondo del vino, rispetto a quello del cibo che continua a dominare tantissimi programmi tv. “Certo, quello del racconto del vino è uno dei temi più delicati. In tv si parla poco di vino, e molto di cucina. Sicuramente l’impatto della cucina è stato enorme, e le ragioni sono tante. La cucina si racconta bene attraverso un mezzo caldo che entra nelle cucine delle case degli italiani, è un “focolare catodico”, e poi c’è anche una ragione tecnica, la cucina in tv costa pochissimo: per raccontare una ricetta semplice come una frittata di cipolle, che magari fa poi milioni di visualizzazioni anche su internet, bastano 6 uova, un chilo di cipolle e una signora brava a raccontare come si fa”.
“Per il vino è diverso – continua Bonsignore – perché è percepito come qualcosa ancora di ‘pericoloso’, qualcosa che ha una grande popolarità tra gli addetti ai lavori, ma che non ha lo stesso impatto positivo della cucina, tra le famiglie. A raccontare il vino ci sono reticenze, si può parlare di territori, di vitigni, ma parlare di etichette, per esempio, è sempre percepito come pubblicità, ma è una ipocrisia. La tv è piena di marchi, pensiamo alle auto, o alla moda: non c’è nessuna remora a parlare delle marche, mentre nel vino non è così. Ma è un ragionamento miope. Servirebbe, però, anche una azione dei territori, ma anche dei produttori e dei marchi più importanti per farsi sentire di più da questi interlocutori. Anche perchè il vino è portatore di valori fondanti dell’umanità, del modo di stare al mondo, del rapporto tra le persone. Si potrebbe fare un grandissimo lavoro, perchè chi produce vino, in realtà, fa molto altro”.
“Se dovessi raccontare il Brunello e Montalcino, per esempio, racconterei uno stile di vita, un modello culturale: dobbiamo pensare che qui sessant’anni fa c’era una agricoltura difficile, su una terra difficile, oggi è un territorio trasformato completamente, è una comunità trasformata dal mondo di vedere la campagna e dal suo Brunello, ma anche dalla capacità di stare insieme. E di essere terra in cui gli “indigeni” e gli stranieri vivono fianco a fianco da sempre, come testimoniano anche i tanti investimenti che negli anni sono arrivati sul territori dall’estero”.
Patrizio Cencioni ha aggiunto che “È una cosa che è sempre successa, pensiamo a più di 30 anni fa quanto è arrivata la famiglia Mariani creando Banfi, che è l’azienda più grande di Montalcino, e che ha dato una visibilità internazionale enorme al Brunello e al territorio, e questo gli va riconosciuto. Anche perchè all’epoca le aziende medio-piccole che c’erano non erano strutturate per affrontare i mercati come magari lo sono oggi” In ogni caso, il grande vino nasce dalla grande passione di chi lo produce, così come succede per l’alta cucina. Ed è anche lungo questo filo più che mai rosso, che è nata l’idea e la collaborazione tra Consorzio del Brunello e la Guida Michelin Italia, che ha firmato la piastrella della vendemmia 2016. In un territorio, però, dove la grande ristorazione stellata è assente.
“Qui si mangia bene, ci sono prodotti di alta qualità – ha spiegato il Direttore Responsabile Comunicazione di Michelin Italia Marco Do – ma per avere un grande ristorante stellato, perchè no un 3 stelle, che acquista subito visibilità internazionale, servono investimenti. E si può fare in due modi: o si ha la fortuna di avere uno chef del luogo che ha grande passioni, grandi competenze e sviluppa un percorso che poi porta a certi risultati, o si investe e ci si porta una persona con queste grandi competenze, e gli si mette a disposizione tutto il possibile. E il luogo, l’attrattiva del territorio, conta fino ad un certo punto: pensiamo a Castel di Sangro, che è fuori da qualsiasi rotta turistica, ma dove Niko Romito con il suo ristorante ‘Reale’ ha raggiunto le ‘tre stelle’.
In merito alla partnership con la Guida Michelin, Patrizio Cencioni ha aggiunto: “E’ una visione comune che sta alla base della nostra partnership, una collaborazione all’insegna dell’eccellenza e della qualità che dura ormai da alcuni anni e che ci vede presenti in Italia ed all’estero agli eventi Michelin. Quest’anno inoltre stiamo portando avanti anche nuove iniziative editoriali legate ai 50 anni del Consorzio. Siamo infatti convinti che per mantenere e consolidare la visibilità e l’importanza del Brunello nel mondo sia necessario legarsi a partner di altissimo profilo. Nel nostro campo Michelin è uno dei marchi più autorevole in assoluto”.
In proposito, Marco Do ha dichiarato di aver “accettato con molto entusiasmo l’invito fattoci dal Consorzio del Brunello perché crediamo ci sia un forte legame tra i nostri due brand. La missione di entrambi è quella di garantire sempre e comunque il massimo della qualità perché la credibilità e la reputazione passano proprio dalla capacità di essere trasparenti e rigorosi adottando criteri e comportamenti condivisi e riconosciuti in tutto il mondo. Lo stesso vale per le partnership ed i progetti editoriali che portiamo avanti. Lo vogliono i nostri lettori, lo vogliono i wine lovers e gli appassionati. Non è un caso che da oltre 60 anni Michelin sia il riferimento assoluto per la gastronomia mondiale, e lo stesso valga per il Brunello che è uno dei brand italiani più conosciuti a livello internazionale”.