Brandom Delgado è giovanissimo, ma ha già una grande competenza e un’umiltà esemplare.
Della sua terra natale, il Messico, Brandom Delgado, sommelier e barman di Makorè, indirizzo gourmet della famiglia Fugaroli, custodisce ancora alcuni preziosi ricordi.
Oggi Brandom Delgado, da ferrarese acquisito, ha l’obiettivo di rimanere nella città emiliana per crescere ulteriormente nei prossimi anni, raggiungendo traguardi che ha già ben chiari in mente. Nel frattempo, è il momento di terminare gli studi, con tanti sogni nella testa.
Chi è Brandom Delgado?
Sono nato il 30 gennaio 1998 in Messico. Quando avevo un anno mi sono trasferito in Italia con i miei genitori, che volevano aprire ristoranti messicani nella penisola. Siamo stati prima a Salerno, poi a Cortina, quindi sul Lago di Garda e infine a Ferrara, dove abito dal 2005. La mia prima esperienza in sala l’ho fatta nell’estate del 2015, al ristorante Il Setaccio al Lido degli Estensi. A dicembre ho ricevuto la chiamata di Makorè, dove ho lavorato fino alla partenza di mia mamma per il Messico. Una breve esperienza di 6 mesi, al Birocciante a Ferrara, mi ha diviso dal mio ritorno ad aprile 2017 da Makorè, dove mi trovo ancora oggi.
Quando si è interessato per la prima volta al vino?
All’età di 17 anni, quando avevo iniziato a lavorare da Makorè in concomitanza con la scuola. Mi sono appassionato al tema, in primis, perché volevo ancor prima di vendere il vino, essere in grado di raccontarlo. Al mio fianco il sommelier Mirko Raimondi. Poi, negli anni, ho avuto modo di approfondire la mia conoscenza del vino, grazie al conseguimento dei tre livelli del corso di sommelier, iniziati nel 2017 e terminati nel maggio 2019.
Tre aspetti che vorrebbe approfondire di questo mondo.
I terroir, l’enologia e l’influenza dell’esposizione al sole delle uve sulla loro espressione.
Dove si vede Brandom Delgado tra 10 anni?
Adesso l’intenzione è quella di proseguire gli studi mentre, se dovessi dire dove mi vorrei trovare nel 2031, risponderei ancora qui, in questa tranquilla città a misura d’uomo e in questa bella realtà, nel ruolo di maître.
Quali aree geografiche preferisce? E quali etichette vinicole?
Indubbiamente la Francia, terra da sempre vocata alla produzione di vino, e i terreni vulcanici italiani, dalla zona siciliana dell’Etna fino a quella campana del Vesuvio. Andando nello specifico delle etichette, sono un amante dei bianchi e delle bollicine. Mi piacciono alcuni vini francesi, come il Palette Blanc, un bianco fermo risultato di un blend di vitigni autoctoni – Clairette, Grenache Blanc, Ugni blanc o Trebbiano toscano – e, per rimanere in Italia, i prodotti di Ca’ del Vent in Franciacorta e de L’Opificio del Pinot Nero di Marco Buvoli sui Colli Euganei.
Le interessa solo il mondo del vino o anche quello che gli gravita attorno?
Sono particolarmente appassionato di miscelazione, motivo per il quale ho conseguito un esame per diventare barman, della durata di 6 mesi, alla scuola AIBES. Amo particolarmente due distillati della mia terra, la tequila e il mezcal, per il caratteristico sentore vegetale e pungente, tipico dell’agave blu, che non si ritrova in altri distillati. Mentre la prima la preferisco nei cocktail, come il Margarita o il Paloma, il secondo lo prediligo liscio, per le note affumicate. Mi piace berli entrambi in compagnia dei miei cugini messicani, che abitano anche loro a Ferrara.
Qual è il suo cocktail preferito?
Il Daiquiri classico, con rum, succo di lime e sciroppo di zucchero, in particolare per l’aperitivo, e l’Old Fashioned. Per quanto riguarda i miei cocktail, invece, il migliore realizzato finora è a base tequila con estratto di mela, succo di lime e ginger beer. L’ho chiamato Un salto in Messico.
Pratica qualche sport?
Giocavo a calcio, mentre adesso, nel mio tempo libero, mi sto dedicando alla palestra – nell’ultimo periodo, a causa della pandemia, che ha decisamente limitato le nostre libertà, l’ho allestita in casa. Due ore al giorno sono sufficienti a ridarmi l’equilibrio del quale ho bisogno.
Ha imparato a cucinare qualche piatto messicano? Ci azzardi qualche abbinamento?
Nonostante sia stato solo un anno in Messico, ho imparato a cucinare alcuni piatti tipici, negli anni in cui ho vissuto con i miei genitori qui in Italia. So preparare i classici tacos con tortilla di farina di mais e tipo 0 e ripieno di macinato di carne, panna acida e salsa guacamole oppure chili con fagioli neri e carne. Un abbinamento ideale per i tacos è un vino rosso fresco, di poca struttura. Nella fattispecie, con il primo accosterei il Blau & Blau, un blend di Pinot nero e Franconia di Cantina Hierman, e con il secondo, invece, qualcosa di più strutturato, come un Bolgheri a prevalenza Merlot.
A chi si ispira nel lavoro quotidiano?
Attualmente non ho punti di riferimento in sala. L’aver lavorato con cuochi del calibro di Marco Boni, Luca Borghi e Corrado Parisi ha accresciuto in me l’ambizione di voler avere la loro stessa conoscenza sul cibo, in materia di vino.
Quale zona vinicola vorrebbe visitare non appena si potrà?
La Borgogna, perché è una zona di produzione dove nascono vini eccellenti, dal forte aroma legnoso. Qui lo Chardonnay è molto piacevole, mentre il Pinot Nero è tra i migliori al mondo.
Il suo motto?
“Quello che hai a 20 anni te l’ha dato la natura, quello che avrai a 50 anni te lo sarai guadagnato”. È una frase di Coco Chanel ma mi rispecchia in pieno, come “È l’ignoranza che ci rende deboli”.