Il tristellato chef patron dell’Osteria Francescana di Modena ha ricevuto ieri dall’Accademia delle Belle Arti dell’Università di Carrara la Laurea Honoris Causa in Arte. Onorificenza conferitagli come tributo alle sue immense doti umane, professionali ed artistiche
Era lunedì 6 febbraio 2017 quando nella storica e magica Aula Magna di Santa Lucia a Bologna, di cui proprio quest’anno (il 7 giugno prossimo) ricorreranno i 30 anni dall’inaugurazione (per l’occasione, dallo scorso dicembre è chiusa per ristrutturazione) Massimo Bottura riceveva la prima Laurea ad Honorem della sua vita, in Direzione Aziendale, consegnatagli dal Rettore Francesco Ubertini su proposta del professor Max Bergami, docente di Organizzazione Aziendale presso l’Alma Mater e Dean della Bologna Business School.
Così il Rettore Francesco Ubertini motivava il conferimento dell’onorificenza allo chef trionfatore, tra l’altro, alla cerimonia de ‘The World’s 50 Best Restaurants’ 2016 tenutasi a New York:
“Il percorso di Massimo Bottura si colloca all’incrocio tra imprenditorialità, cultura e tecnica e rappresenta un esempio per la diffusione della cultura italiana e per lo sviluppo del Made in Italy a livello internazionale. Massimo Bottura rappresenta un caso esemplare di gestione di una piccola impresa familiare italiana, raggiungendo in pochi anni un successo senza precedenti e una notorietà a livello globale. Dal punto di vista aziendale ha realizzato una deliberata strategia di crescita, volta allo sviluppo della qualità e alla visibilità internazionale, mediante visione, capacità imprenditoriale, creazione e gestione del team, innovazione di prodotto e raggiungimento di un livello di servizio molto elevato. L’opera di Bottura è un esempio di innovazione, mediante l’espressione di una creatività che affonda le proprie radici nella tradizione culturale territoriale, ispirandosi contemporaneamente a elementi quali l’arte contemporanea o la musica jazz. La creatività di Bottura si basa su una perfetta padronanza della tecnica, fondata sul desiderio di valorizzare il territorio in cui è nato, le sue tradizioni e i suoi prodotti. Questo connubio assume un’originalità esemplare mediante l’incessante contaminazione con elementi culturali di mondi e culture diverse, frutto delle sue passioni, dei suoi viaggi e del suo inesauribile desiderio di scoperta”.
Ieri mattina Bottura ha raggiunto un ennesimo traguardo nella sua infinita carriera artistico-professionale, impreziosita dal conferimento di una seconda laurea, questa volta da parte dell’Accademia delle Belle Arti dell’Università di Carrara che ieri ha ufficialmente aperto l’anno accademico. La cerimonia si è svolta all’interno dell’Aula Magna di Palazzo Cybo Malaspina. Allo chef modenese sono state riconosciute ‘la sua professionalità e la sua creatività in campo culinario’ e ‘la sua cultura in campo artistico, manifesta in tutte le sue attività’, essendo sempre stato ispirato dalla ‘qualità delle idee’. Oltre a Bottura era presente l’artista Maurizio Cattelan, amico dello chef, che ha ricevuto il titolo di Professore Onorario di Scultura.
Riportiamo, di seguito, il testo della lectio magistralis di Massimo Bottura:
“Io vengo dalla provincia e la legittimazione culturale è sempre stata più importante di qualsiasi altra forma di riconoscimento. Ho sempre preferito si dicesse di me che è un uomo colto, più che si dicesse che è un grande cuoco. Nel 1995, abbiamo aperto l’Osteria Francescana, un piccolo ristorante con grandi sogni nel centro di Modena.
Da allora la nostra strada è stata costellata da sacrifici tanto quanto da soddisfazioni, da duro lavoro, delusioni, difficoltà, da sorprese e successi. All’Osteria guardiamo ancora il mondo da sotto il tavolo, con gli occhi aperti e curiosi di meraviglia, come quelli di un bambino. Noi cerchiamo di proiettare il meglio del passato, filtrato da un pensiero critico e mai nostalgico, nel futuro. In via Stella non abbiamo né viste sul mare, né su una montagna, tantomeno si intravede la guglia della Ghirlandina.
Il nostro paesaggio di riferimento è la cultura, che amplia i nostri orizzonti e apre a infinite possibilità. La nostra attenzione in cucina guarda come le idee prendono forma, ispirate all’estetica dalla natura e motivate ora più che mai da scelte sociali. Questa trasformazione è fondamentale, cerca di rendere visibile e commestibile le invisibili connessioni tra natura, tecnologia e arti. Ogni pensiero, immagine, memoria, passione è compresso in bocconi masticabili. Perché il cibo non è solo la qualità delle materie prime, ma anche la qualità delle idee.
Mi piace vedere l’Osteria Francescana non come un ristorante iconico bensì come una bottega rinascimentale. Le botteghe erano luoghi dove si apprendeva il mestiere dai maestri, dai quali non si imparavano tanto le tecniche quanto più uno stile e una cultura. Si andavano ad apprendere gli elementi che avrebbero caratterizzato quella ‘scuola’.
Abbiamo creato un laboratorio di idee dove ogni giorno si fa cultura. Giovani ragazzi e ragazze vengono a Modena con l’idea di lavorare e di imparare le tecniche più complicate. Ma la verità è che lavorano costantemente su un’espressione culturale. La nostra cucina non è un ricettario, un elenco di ingredienti o di dimostrazioni tecniche, ma è un modo di raccontare il nostro territorio e le nostre passioni, di perpetrare un atto che non è mai matematico, ma emozionale.
Rompere le forme per creare nuove Forme.
Iconica è l’immagine di Ai Weiwei che lascia cadere un vaso con 2.000 anni di storia. I frammenti della storia sono la fine. O un nuovo inizio? Rompere. Trasformare. Ricreare.
Contrariamente a quanto si possa immaginare, l’artista non nega il passato, ma cerca di trasformarlo, letteralmente rompendolo, per poi creare il futuro, senza rinnegare il passato, anzi, partendo dal passato stesso. Questa immagine è un metafora del nostro processo creativo. Il nostro lavoro è di rimettere insieme i pezzi, riscoprendo i sogni e riordinando le idee.
E allora. Come può diventare commestibile un’opera jazz o un errore? Come possiamo tradurre le nostre storie personali in piatti e concetti culinari?
Joseph Beuys pensava che l’arte potesse letteralmente trasformare e curare l’umanità. Usava materiali antiestetici come il grasso e il feltro, i suoi oggetti primitivi e iconici, ed erano carichi di riferimenti personali. Una delle sue opere multiple, le mie preferite, è Capri Battery: una lampadina gialla in una presa portatile collegata a un limone. Beuys la realizzò nel suo ultimo anno di vita, mentre cercava di riprendersi da una malattia polmonare sull’isola di Capri. L’energia si sprigionava dal limone, generando una sorta di carica curativa per il debilitato corpo di Beuys. Il suo colore giallo luminoso allude alla luce del Sud Italia. La batteria suggerisce che arte, scienza e natura possono nutrire e curare un Paese, una cultura o un individuo malato con un’energia quasi magica.
Il limone metafora di energia, così come il sole, di colore e di vitalità. Il limone metafora di speranza, gioia, futuro. Dentro di noi, tutti noi italiani abbiamo un limone di riserva, una batteria di scorta di pomodorini del piennolo, un pesto segreto, una salsa magica da condividere. Troviamo questo gesto di Beuys infantile e geniale allo stesso tempo. La soluzione sembra così facile e a portata di mano: Capri Battery come una metafora di un’Italia che riparte mediante un gesto poetico, ma anche tecnico, senza abbandonare la natura né l’identità.
Il nostro segreto per non perderci nella quotidianità è proprio lasciare una finestra aperta sulla poesia. In un mare di obbligazioni come quello che ci troviamo ad affrontare ogni giorno, è fondamentale tenere uno spazio sempre aperto per l’inaspettato.
Perché l’ispirazione può arrivare ovunque, e in ogni momento. Un piatto come ‘Oops, mi è caduta la crostatina al limone’ è per me poesia.
I limoni di Sorrento, l’origano selvatico di Vendicari, i capperi di Pantelleria, le mandorle di Noto, il peperone materano, il bergamotto calabro. Un piatto di impressionante intensità ma anche di rottura tra dolce e salato. Una ricostruzione perfetta dell’imperfetto. Quando parliamo di ‘Oops’, parliamo di uno dei piatti più riconosciuti al mondo, ma parliamo anche della capacità di saper sbagliare e, cogliendo il lampo di luce nelle tenebre lungo il percorso della creatività, inciampando sull’inaspettato, ti capita di vedere il mondo da una prospettiva diversa. Vedere tutto proprio dal punto di vista di un bambino che guarda il mondo da sotto il tavolo.
Una serie di quadri di Boetti (Alighiero Boetti, ndr) si intitola Tutto. Il Tutto per Boetti era il possibile; le possibilità infinite di vedere le cose; magari di vedere cose che non vedono gli altri, o sognare mondi che non esistevano. Tutto vuole dire catturare le infinite possibilità della vita. Abbracciare il mondo e prendere davvero tutto, il bello e il brutto, e far sì che diventi tuo. Quando guardo il nostro lavoro degli ultimi anni, credo che sia stata questa percezione del tutto a farci capire l’urgenza di lavorare con gli scarti di cucina, il pane secco, le rimanenze di preparazioni, la frutta matura, e dare vita e anima ai luoghi di periferia e alle persone dimenticate.
Il tutto è un brodo come espressione di un modo di vedere e di racchiudere il mondo in una tazza, e allo stesso tempo uno strumento di recupero da cui siamo partiti per creare Food for Soul. Cosa abbiamo imparato dall’esperienza dei nostri Refettori? Abbiamo imparato che un brodo apparentemente povero può essere più ricco di un fine consommé. Un brodo di tutto, fatto di scarti e bucce, è più vero, più attuale, più contemporaneo, e certamente più vivo.
Etica ed estetica sono una cosa sola
Il filosofo tedesco Ludwig Wittgenstein credeva che il Bello e il Buono fossero complementari. Sono due facce della stessa medaglia. Il Bello senza il Buono non è bello per niente. E il Buono ha bisogno del Bello per recapitare il suo messaggio. Sempre guidati dalla stessa passione, la stessa cura per la bellezza, possiamo esprimerci in nuove forme solidali che spostano il fuoco dell’attenzione e ci portano fuori dalle nostre cucine e lontano dalla nostra quotidianità, e vadano a costituirsi nelle aree periferiche, nei quartieri marginalizzati, in tutti quei luoghi abbandonati.
I Refettori a Milano, a Rio de Janeiro, Londra e Parigi, le tavole sociali di Bologna e Modena, non sono nati per fare beneficenza. Il nostro obiettivo non è sfamare i bisognosi, ma riempire i loro occhi di bellezza, ristorare corpo e anima, farli sentire accolti, riunire una comunità attraverso la valorizzazione di quello che altrimenti sarebbe andato perduto: spazi, cibo e persone. I nostri Refettori si fondano sulla qualità delle idee tanto quanto sul valore della bellezza.
Per questo motivo, oltre a chef e volontari, coinvolgiamo architetti, artisti e designer, portavoce di bellezza, la voce più alta e pura che si eleva da sempre dal nostro Paese. Insieme a loro siamo in grado di costruire spazi belli e accoglienti, che veicolino in maniera efficiente il nostro messaggio. Perché la bellezza è un linguaggio universale e deve essere accessibile a tutti.
Il punto di partenza è sempre lo stesso: la cultura. Cultura. Conoscenza. Consapevolezza, che apre alla coscienza. E dalla coscienza al senso di responsabilità, il passo è corto. Possiamo farci portavoce di un messaggio di speranza. Possiamo rendere visibile l’invisibile. Grazie.”
E noi aggiungiamo: “Grazie a te di esistere, Massimo!”
(La foto in evidenza è di Paolo Terzi)