In molte parti del mondo il riso è considerato un alimento di “buona sorte”, come ricorda il doveroso lancio del riso agli sposi. Ma perché il riso “porta bene”? Il riso è simbolo di fertilità, abbondanza e benessere in molte parti del mondo, ma l’usanza italiana è legata al fatto che il riso costava molto sino al Rinascimento. Potersi permettere il lusso di sprecare un alimento, ed un alimento costoso per giunta, era quindi simbolo di benessere. Oggi il riso è alla portata di tutti, ma il suo valore simbolico è rimasto: ecco quindi il lancio del riso agli sposi.
Il riso, il cereale più consumato al mondo, è l’alimento base di quasi un terzo della popolazione terrestre e si presta a tantissime varianti culinarie, secondo le più fantasiose ricette che possono dar vita sia a piatti semplici e veloci, sia a piatti più elaborati che possono diventare dei veri e propri piatti gourmet grazie alla maestria dei professionisti dei fornelli.
Il riso è una pianta originaria delle regioni dell’Asia sud-orientale e sembra che sia coltivata intensivamente da più di settemila anni, come dimostrano alcuni reperti risalenti al 5.000 a.C., ritrovati nella parte orientale della Cina, e altri risalenti al 6.000 a.C. ritrovati nella parte settentrionale della Thailandia. E’ una pianta che necessita di molta acqua, richiede quindi un clima caldo-umido e può crescere fino a raggiungere l’altezza di un metro; nel momento in cui il chicco giunge a maturazione, assomiglia molto alla pianta dell’avena ma, a differenza di altri cereali, raramente viene usato per produrre le farine con cui si prepara il pane e, tra le circa diciannove specie di piante erbacee annuali della famiglia delle graminacee, solo la “Oryza sativa” è molto importante per l’alimentazione dell’uomo.
La coltivazione del riso è, in ordine di importanza come produzione mondiale, al secondo posto subito dopo il frumento e, ad oggi, viene coltivato soprattutto in Asia Orientale e in Giappone, ma anche in Italia, Egitto, Stati Uniti e Brasile; per moltissimi abitanti di queste aree geografiche, in particolar modo Cina, India e Vietnam, costituisce la base energetica della loro alimentazione. Nella Cina meridionale, in Indocina e in India, trovando un ambiente più adatto, il riso abbonda tanto da permettere di ottenere più raccolti all’anno: ci stupisce e ci affascina il fatto che, in questi paesi, le operazioni di coltura vengano ancora svolte quasi esclusivamente a mano, mentre da noi, come nel resto dei paesi occidentali, sono state meccanizzate.
In Europa, dopo la Russia, il principale produttore di riso è l’Italia. I primi documenti indicanti chiaramente la coltivazione nel nostro paese, sono datati 1468 per la zona di Pisa e 1475 per quella di Milano; dalla Lombardia il riso si diffonde in Piemonte, giungendo fino a Saluzzo, e verso Est attraverso i territori di Mantova, Verona, Vicenza fino alla Marca Trevigiana. Oggi la concentrazione di questo cereale è concentrata in alcune zone della pianura padana, specificatamente nella Lomellina, nel Pavese, nel Vercellese, nel Novarese e nella pianura veneta. La semina avviene in aprile, la raccolta generalmente in ottobre e, durante la coltivazione, il terreno viene solitamente sommerso per mantenere stabile la temperatura. Il consumo di riso lavorato in Italia è di circa cinque kg all’anno pro capite, anche se notevoli sono le differenze da regione a regione: si va infatti dai nove kg della Lombardia, ai quasi otto kg del Veneto, fino a valori decisamente più bassi nel meridione e nelle isole, dove il consumo si attesta al di sotto dei tre kg.
Il ciclo biologico della pianta del riso si svolge attraverso le fasi di germinazione, accestimento, levata, fioritura, fecondazione e maturazione. La parte utilizzata del riso è il frutto secco, tipico dei cereali, chiamato “cariosside”, con il tegumento del seme strettamente aderente al seme stesso; la cariosside del riso è costituita da un seme duro, di forma rotondeggiante nella sottospecie “japonica”, e allungata nella sottospecie “indica”, circondato da diversi strati di tegumenti, detti “glumelle”, che non si distaccano dal seme, detto “risone”, una volta che questo è giunto a maturazione; le cariossidi sono riunite in infiorescenze a pannocchia semplice. La cariosside germina in pochi giorni e l’accestimento nel riso si compie subito dopo la semina, quando la pianta ha un portamento strisciante ed è piuttosto limitato; all’inizio dell’estate si verifica la “levata” ed il fusto diviene eretto. Le fasi che vanno dalla differenziazione dell’infiorescenza, durante la levata, alla fioritura sono particolarmente sensibili agli abbassamenti termici: in questo periodo la sommersione parziale della pianta si rivela molto utile in quanto l’acqua restituisce di notte parte del calore accumulato durante il giorno, svolgendo così una funzione di volano termico particolarmente importante alle nostre latitudini per garantire fertilità delle spighette e quindi una buona produzione.
Affrontando poi il discorso dell’avvicendamento in risaia, dobbiamo fare un primo importante distinguo in base alla zona di coltivazione e quindi alle caratteristiche pedologiche che possono sconsigliare o meno la monosuccessione. Nei terreni torbosi del ferrarese, ad esempio, la monosuccessione non è praticabile proprio per la natura del suolo; se si coltivasse riso nei terreni torbosi con una monosuccessione superiore agli otto anni, si arriverebbe ad una disponibilità di azoto quasi tossica per la pianta stessa; ne deriva quindi la necessità di attuare l’avvicendamento con altre colture. Nelle zone risicole del Piemonte e della Lombardia la pratica della rotazione è molto poco seguita non essendoci esigenze pedologiche a consigliarla, anche se le sempre maggiori difficoltà che si verificano nel diserbo potrebbero essere un buon incentivo ad inserire colture diverse dopo un certo numero di anni di risaia. Attualmente le colture più utilizzate per l’avvicendamento sono soia, mais e, limitatamente ai terreni vicini all’asta fluviale del Po che si presentano più leggeri, anche la barbabietola da zucchero. Anche il pioppo trova una larga utilizzazione per le rotazioni in queste zone, soprattutto perché, visti gli eventi meteorologici degli ultimi anni, gli agricoltori non se la sentono di rischiare in zone golenali con colture che, in caso di alluvione, andrebbero interamente perdute.
Praticamente, mentre si fa obbligo per altre colture erbacee annuali ed orticole di pieno campo una rotazione che impedisca, nell’arco di cinque anni, il ritorno per più di tre anni di una stessa coltura, per il riso di fatto questo obbligo non c’è. Si impone soltanto di sovesciare, almeno una volta ogni tre anni, ma dato che questa operazione si conclude con l’aratura di fine inverno, di fatto la monocoltura di riso risulta ininterrotta.
Dal punto di vista nutrizionale, il riso è una buona fonte di carboidrati e di sali minerali, con un discreto contenuto proteico, e la sua composizione è paragonabile a quella di altri alimenti di origine vegetale che derivano dai cereali, come il pane e la pasta: contiene sia dei macronutrienti, come acqua, proteine, carboidrati e grassi, che micronutrienti, come sali minerali (calcio, fosforo e ferro) e vitamine (B1, B2, PP e C).
Dal punto di vista dell’utilizzo gastronomico, invece, bisogna precisare che dalla diversa struttura dell’amido presente nei granelli della sottospecie “indica” e “japonica” ne deriva un diverso utilizzo in cucina delle diverse varietà. Durante la cottura, il granello di tipo “japonica”, la cui struttura amorfa dell’amido lo rende quasi spugnoso, tende ad assorbire di più il liquido e i componenti in esso disciolti, assumendo sapori diversi nei vari piatti elaborati specialmente dall’arte culinaria italiana (particolarmente in Val Padana) e da quella spagnola (come per esempio nella preparazione della “paella”). Per la struttura dell’amido completamente cristallina, il granello di tipo “indica” impedisce una penetrazione abbondante di liquido o del vapore di cottura: il riso, in questo caso, è utilizzato come contorno o per la preparazione di insalate.
Nei paesi extraeuropei, per la gastronomia locale, si utilizzano esclusivamente varietà di tipo “indica”, largamente coltivato in tutto il mondo. La varietà più coltivata è la “Thaibonnet” che da sola occupa i due terzi della superficie interessata da “indica”; teniamo a precisare che tali varietà hanno esigenze termiche superiori a quelle delle varietà appartenenti alla subspecie “japonica”, risentendo spesso delle basse temperature che si verificano al momento della germinazione e che ne compromettono la vitalità delle piante.